CONCLUSIONE
Giungere ad una considerazione conclusiva su cosa sia stata Villa Azzurra, e su cosa sia accaduto in quegli anni, non è semplice. Ad una prima lettura parrebbe trovarsi di fronte ad un girone dantesco, con la differenza che i “condannati” in questo caso non avevano nessuna colpa, se non quella di essere in qualche modo “diversi”. La causa di quanto è accaduto, non è quindi da attribuire al singolo medico “crudele” e “disumano”, ma alla società e alla cultura del tempo, che aveva “paura” del “diverso” e in qualche modo sentiva di doversi difendere. Le “persone considerate pericolose o che arrecano pubblico scandalo” venivano così, tutte (o quasi), rinchiuse in una stessa struttura che li tenesse ben lontani dalla gente “per bene”! I medici e le loro “cure”, erano perciò figli di quel tempo. La psichiatria fece passare per scientifiche e mediche delle “terapie” paragonabili, per la loro mostruosità, solo a certe barbare pratiche del medioevo. L’idea che stava alla base di certe prassi e che avrebbe dovuto giustificarle era la seguente: “se la follia è stata causata da un evento drammatico, un trauma di uguale o maggiore intensità può servire a stabilire l’equilibrio”[1]. Conseguenza di questo modo di pensare furono quindi le sedie rotanti, sulle quali il malato veniva fatto girare come una trottola sino alla completa perdita di ogni senso dell’equilibrio; i salassi; il coma da insulina e l’elettroshock. Questi metodi non erano praticati di nascosto all’interno degli ospedali, ma venivano resi pubblici tramite articoli pubblicati su eminenti riviste scientifiche. Un esempio potrebbe essere l’articolo del dott. Coda: Terapia delle psicosi alcoliche[2], in cui era descritto con chiarezza il metodo degli elettromassaggi.
Ciò che andrebbe quindi condannata è la psichiatria del tempo per la quale il malato aveva un senso in quanto portatore di una malattia, utile cavia da laboratorio senza personalità né storia.
Oggi, fortunatamente, non assistiamo più a realtà come quella di Villa Azzurra. Sul territorio si possono trovare varie strutture che si prendono cura dei bambini con problemi più o meni gravi. Tra queste vi sono i servizi di Neuropsichiatria Infantile (NPI) che intervengono in vari modi di fronte ai diversi disagi dell’utenza.
Tra i vari tipi di assistenza vi sono quelle di tipo terapeutico, che pur non essendo veri e propri interventi specialistici di terapia, sono però validi interventi di supporto e di appoggio agli handicappati, ai genitori, all’insegnante: quali ad esempio psicoterapie, terapie familiari, terapie d’appoggio a genitori o bambini.
Vi sono interventi rieducativi come la logopedia, ed interventi terapeutici in senso lato come colloqui di sostegno col bambino e/o coi genitori, colloquio di controllo evolutivo col piccolo e/o coi genitori; visite neuropsichiatriche di controllo; colloqui informativo/esplicativi con i genitori; ecc...
Tra gli interventi di presa in carico vi sono colloqui con gli insegnanti, osservazioni del bambino a scuola, colloqui di impostazione metodologica con altri operatori esterni al servizio che seguono anch’essi lo stesso caso (medici curanti, terapeuta, assistenti sociali), in modo tale da non fossilizzarsi sul momento individuale di cura, ma prestando attenzione a quello che è l’entourage familiare, ambientale e scolastico del bambino.
Il loro significato e la loro importanza terapeutica vengono rappresentate dal valore della continuità e dell’ascolto sempre attivo, nei confronti dell’utente, anche dopo il momento iniziale della diagnosi, e dal tenore tecnico dell’intervento stesso che si fonda sulla possibilità di permettere all’utente di rielaborare il proprio vissuto e chiarificare le problematiche relazionali di cui è portatore.
Il servizio di NPI si muove costantemente tra normalità e patologia, tra ambiente e individuo, tra realtà e vissuti, in modo da saper rapportare e leggere ogni modificazione della “normalità” e della “patologia” in relazione alle modifiche sociali.
“Ad un aprioristico adattamento del bambino all’ambiente, che si realizza attraverso la costruzione di un mondo di relazioni che lo guidano e lo proteggono, nel momento stesso in cui implicitamente lo escludono e lo istituzionalizzano, (si dovrebbe) sostituire una cultura che individui e salvaguardi la piena soggettivazione e l’adattamento reale tra bambino ed ambiente, entrambi intesi come reciprocamente sollecitanti e protagonisti della evolutività e della crescita relazionale”[3]
[1] http/www.club.it/cuculo/elettro.html
[2] Coda, G; la terapia delle psicosi alcoliche; Atti delle giornate psichiatriche di Torino del 7-8-9 giugno 1965; in Annali di freniatria e scienze affini; n.2; 1965; ed. Minerva Medica.
[3] De Leo, G. ; Relazione sulla organizzazione del servizio di neuropsichiatria infantile territoriale;in Psichiatria/Informazione; n.3; 2/1982.