ritorno

Capitolo 3: LA DIVERSITA'DEI RUOLI ALL'INTERNO Di "VILLA AZZURRA”

 

1: Ruolo del Consiglio d’Amministrazione

Il Consiglio d’Amministrazione era formato, in linea di massima da figure extramediche: ingegneri, avvocati, politici, geometri; ad eccezione del medico direttore generale degli Ospedali Psichiatrici di Torino.

Era compito della Provincia nominare la maggior parte dei consiglieri d’amministrazione, ma, malgrado ciò, non ottenne mai il governo reale dell’opera pia.[1] Questo “perché i consiglieri nominati dall’ente locale assumevano linee di condotta mirate più ad accrescere il proprio prestigio e potere (…) che non a raggiungere gli obiettivi della Provincia.”[2]

L’opera pia beneficiava del finanziamento pubblico che le era dovuto, per legge, dalla Provincia per la presa in carico dei malati. Diventa chiaro, quindi,  perché il crescente numero di degenti non rappresentasse un problema economico, ma, al contrario costituisse una sorta di sicurezza; inoltre assumeva un’importanza sempre maggiore nell’ambito del settore assistenziale pubblico.

La Provincia si trovò così, a dover pagare un numero sempre più elevato di rette, senza avere voce in capitolo nella gestione dei manicomi.[3]

Il Consiglio d’Amministrazione si riuniva più volte l’anno ed era convocato in adunanza mediante appositi avvisi recapitati al domicilio dei singoli amministratori.

In queste riunioni venivano affrontate le diverse problematiche che riguardavano l’andamento degli ospedali psichiatrici; si prendevano in considerazione alcune proposte di cambiamento o richieste di materiali mancanti, piuttosto che iniziative di vario genere.

Per quanto riguarda in particolare “Villa Azzurra”, l’Amministrazione aveva cura di trovare luoghi dove far passare le vacanze ai piccoli ricoverati; andare alla ricerca di qualche ente benefico (tipo il Rotary Club o la S. Paolo); congratularsi con il medico direttore  e  con le maestre per il superamento degli esami di fine anno dei piccoli che frequentavano le classi speciali; recuperare in qualche modo il materiale utile alle “attività” che i bambini avrebbero dovuto svolgere (banchi, tavoli da disegno, pianoforte, ecc...).

Per nulla però si occupava delle reali condizioni dei fanciulli: delegava, infatti, ogni decisione di cura al personale medico che lavorava all’interno dell’istituto. Per l’Amministrazione, a “Villa Azzurra” tutto andava per il meglio e il personale eseguiva in modo encomiabile il proprio dovere. Tanto che, durante il periodo della contestazione, al Consiglio d’Amministrazione tenutosi il 23 luglio 1970[4], uno dei membri sostenne che non si era al corrente di quanto stava accadendo all’interno del reparto B di “Villa Azzurra”, poiché, rifacendosi alla norma del regolamento organico, la quale  prevedeva che il medico responsabile fosse tenuto, ogni anno, a redigere una relazione riguardante l’andamento dei reparti, era probabile che il responsabile non avesse mai relazionato nulla.

In verità, dai documenti, si evince che ogni anno  veniva regolarmente presentata una relazione al Consiglio, ma in nessuna di esse era descritta la situazione reale dei piccoli ricoverati.

Durante lo stesso Consiglio d’Amministrazione, a cui si è fatto riferimento poc’anzi, il Presidente invece, riferì che si era in realtà a conoscenza della situazione del reparto e dell’urgenza di adottare provvedimenti, e questo indipendentemente dagli articoli di giornale usciti qualche giorno prima[5].

A questo punto sarebbe doveroso chiedersi se veramente il Consiglio non fosse al corrente di ciò che accadeva a “Villa Azzurra” o se ciò che interessava veramente era soltanto dare lustro al loro operato e agli ospedali da loro amministrati, cercando di nascondere le reali situazioni degli stessi.

L’unica cosa “certa”, che si può rilevare dai verbali, sembra essere che il Consiglio d’Amministrazione non s’interessasse in alcun modo delle modalità di “cura” dei degenti: questo compito spettava ai medici!

 

2: Ruolo dei medici

La “cura” dei pazienti all’interno dell’istituto era affidata allo psichiatra. Il medico si presentava in reparto al mattino, e la sua attività consisteva nel prescrivere farmaci, ordinare contenzioni, risolvere questioni burocratiche ed effettuare terapie particolari quali l’elettroshock o elettromassaggi. Per quanto riguarda i bambini di Villa Azzurra e quelli del reparto 10 di Collegno, si parlava di elettromassaggi lombopubici, effettuati, a detta del personale, a scopo “terapeutico” per la “cura” dell’enuresi notturna. Secondo i medici, in alcuni casi, questo tipo di “terapia” aveva buone capacità di riuscita, c’è da chiedersi però se non fosse la paura di quel trattamento a fare in modo che i piccoli smettessero di fare la pipì a letto!

 Il personale medico, inoltre, effettuava visite solo sui casi segnalati dagli infermieri, per ricerche cliniche o per la sperimentazione terapeutica.[6] “La loro conoscenza dei degenti si basa(va) quasi esclusivamente sulle informazioni orali o scritte degli infermieri”[7] e delle suore. Il tutto si risolveva in poche ore, dopo di che il medico lasciava il reparto e si occupava di altre attività ambulatoriali o private.

Per lo psichiatra[8], dunque, i degenti non avevano alcuna importanza se non come materiale di studio e sperimentazione.

I professori, Coda prima e Signorato dopo, solo per citare alcuni dei medici che lavorarono a “Villa Azzurra”, pubblicarono degli articoli[9] in cui venivano esposti  alcuni  studi riguardanti le diverse patologie dei piccoli ricoverati e le loro possibili origini, nonché la somministrazione di alcuni test proiettivi utili ad evidenziare le caratteristiche comuni a tutti i portatori di una determinata patologia.

Si rileva quindi un uso personalistico e strumentale che la classe medica fa della scienza. “Il medico, non è colui che difende dalla malattia, ma colui che trova e classifica la malattia; la studia, l’analizza, la esamina (...), e avendone scompaginato i sintomi si convince di averla debellata.

Il malato (invece é) un veicolo della malattia. Il campo di una sfida. Il terreno della sperimentazione. Non lo schizofrenico, ma la schizofrenia (...),egli esiste in quanto ha una malattia (...)”[10].

Non necessita evidenziare ulteriormente come in una suddetta organizzazione l’ipotetico utilizzo della scienza medica, per il trattamento di patologie di pretesa origine organica altro non era “se non un grande bluff portato avanti dal sistema nel suo complesso, e la principale giustificazione all’esistenza dell’ospedale psichiatrico restava sempre la stessa, ovvero quella di garantire la separazione dei ricoverati dal resto del mondo”.[11]

 

3: Ruolo degli infermieri

L’infermiere psichiatrico non era un infermiere vero e proprio, veniva assunto in base alla sua “sana e robusta costituzione” in modo da poter  adempiere, nella maniera più adeguata possibile, il ruolo di custodia a cui era destinato. Era necessaria la sola licenza elementare. Una volta assunti venivano sottoposti a  un tirocinio di alcuni mesi e a un brevissimo corso, curato dagli stessi medici del reparto e dagli psicologi. Alla fine di ciò veniva rilasciato loro un patentino, valido solo per gli ospedali psichiatrici[12].

Le funzioni degli infermieri all’interno dell’istituto erano quelle di accudire i bambini: vestirli, farli mangiare, controllare che non si facessero male, pulirli e cambiarli, somministrare loro i farmaci, occuparsi della pulizia del reparto, mantenere la disciplina, mettere in atto le punizioni, eseguire gli ordini ricevuti dai medici. Il piccolo non era nient’altro che un numero, un “arnese”.

La contenzione veniva praticata con larghezza, sia come punizione, sia per poter tenere tranquilli i piccoli, in quanto il personale infermieristico era di numero nettamente inferiore rispetto e quello dei ricoverati: si stima, infatti, vi fosse un infermiere ogni 30 ricoverati[13]. Molti bambini venivano legati, oltre che al letto (non solo per poche ore, ma anche per alcuni giorni consecutivi), anche alle panchine, agli alberi ed ai termosifoni accesi; il tutto a scopo punitivo. Anche questo, si può dire, dietro la scusa di una terapia; viene evidenziata, infatti, l’importanza delle punizioni, in un articolo scritto dal prof. Coda e dalla dott.sa Bertalot[14] in cui si riferisce  che “il castigo è il modo più elementare e diretto per arginare gli impulsi aggressivi nel bambino, impulsi che costellano la vita emotiva di oscuri sentimenti di colpa e che minacciano di precipitarlo in crisi di angoscia. Il castigo diviene dunque argine all’aggressività e antidoto all’angoscia in virtù della funzione espiatrice. (...) Il bambino ama solo chi rispetta”[15].

Il lavoro degli infermieri era tutt’altro che leggero, in quanto, vista la scarsità del personale, erano costretti a rimanere in servizio per due, tre turni consecutivi, privi di qualsiasi stimolo, di interesse. La finalità ufficiale di questo lavoro era dunque, quella di tenere i bambini tranquilli e puliti e mantenere l’ordine e la disciplina all’interno del reparto.

 

4: Ruolo dello psicologo

Dalla documentazione raccolta non sono riuscita a risalire in cosa consistesse il lavoro della psicologo prima della contestazione.

È probabile che lavorasse a Villa Azzurra solo qualche giorno alla settimana, e che si occupasse di somministrare diversi tipi di test (d’intelligenza e proiettivi) ai bambini. Ciò che è emerso con chiarezza è che lavorava in stretta collaborazione con lo psichiatra di reparto, sia riguardo diagnosi dei ricoverati sia riguardo ai diversi studi effettuati sulle patologie dei degenti[16].

Per quanto concerne invece gli anni ’70, grazie ad un colloquio avuto con il prof. Tribbioli, psicologo a Villa Azzurra in quegli anni, sono riuscita ad ottenere alcune informazioni riguardo al ruolo di questa figura all’interno dell’istituto.

Il prof. Tribbioli venne assunto a Villa Azzurra il 1 maggio 1970 e vi rimase fino alla chiusura. Si presentava in reparto a giorni alterni.

Appena entrato nell’istituto si trovò di fronte ad una situazione “spaventosa”: l’arrivo dei carabinieri, che rimasero a Villa Azzurra per tutto il tempo dello scandalo; e la visione di gran parte dei bambini legati ai letti, alberi, termosifoni. Decise così, con l’aiuto di qualche infermiere, di slegare i piccoli, i quali cominciarono  ad avventarsi contro di loro[17]. Nel giro di poco tempo si tranquillizzarono e fu possibile incominciare a lavorare con loro.

 Il prof. Tribbioli incominciò a conoscere i ragazzini applicando dei test di intelligenza per bambini molto piccoli, poiché anche se avevano 6, 7, 10 anni l’età mentale era molto bassa. Questo essenzialmente per parlare con loro, per conoscerli. Fu un modo per farli giocare con i cubetti, per dipingere ecc...

Ci si rese quindi conto che, una volta scaricata l’aggressività accumulata, questi fanciulli non erano tali da necessitare di essere contenuti. Le cinghie di contenzione vennero così fatte sparire del tutto.

Lo psicologo cercò inoltre di organizzare il personale[18] lasciato un pò a se stesso e mise su una specie di scuola materna. Si fece comperare dall’Amministrazione, che era ben disposta[19], tutto il materiale necessario.

I bambini[20] venivano divisi in gruppi di cinque e ogni gruppetto aveva due maestre ortofreniche. Cominciarono a svolgere delle attività che dovevano essere finalizzate recuperare delle abilità minime: per esempio, era abitudine, durante l’orario dei pasti, far mettere i bambini tutti in fila ed imboccarli uno per uno; la maggior parte invece poteva essere in grado, se glielo si insegnava, di alimentarsi da sola. Si cominciò così ad istruire ai piccoli, come se fosse un gioco, sull’utilizzo del cucchiaio e successivamente della forchetta e del coltello.

Educare perciò ad alimentarsi, a vestirsi, ad abbottonarsi i pantaloni, insegnare cioè quelle cose minime che assolutamente nessuno di loro era in grado di fare. Molti riuscirono così a raggiungere un livello di autonomia relativo  alle loro possibilità[21].

Lo psicologo, a differenza del passato, non aveva molto a che fare con i medici. Gli psichiatri erano delle figure “evanescenti”, qualsiasi cosa andava loro bene purché il tutto procedesse secondo le linee stabilite per il superamento di tale struttura e non ci fossero quindi, altri scandali.

 


 

[1] L’opera pia era un ente autonomo (Regio manicomio di Torino), svincolato dall’ordine religioso e controllato da una direzione amministrativa nominata dalla Provincia.

 

[2] Moraglio, M.; Costruire il manicomio. Storia dell’ospedale psichiatrico di Grugliasco; ed: Unicopli, Milano, 2002; pag. 54.

[3] Moraglio, M.; op. cit.

[4]  Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.7, 23 luglio 1970

 

[5] Il Presidente si riferisce all’articolo apparso sull’Espresso il 20 luglio 1970, in cui venne anche mostrata la fotografia di una bambina del reparto B legata mani e piedi al letto.

[6] Cfr. Papuzzi; op. cit. e Moraglio; op. cit.

 

[7] Papuzzi; op.cit.; p.19.

 

[8] Come potrebbe sembrare per la psichiatria italiana di quel periodo.

 

[9] Coda, G., Parascandolo, G.; Considerazioni su di un caso di demenza post-encefalica infantile; in Annali di freniatria e scienze affini; vol.78; n. 1; gennaio-marzo 1966; ed. Minerva Medica.

Coda, G.; Valleri, G.; L’incidenza degli episodi morbosi natali e neonatali sulle anomalie psichiche infantili. Studio statistico-clinico su 1000 soggetti affetti da deficit intellettivo o da anomalie del comportamento; in Minerva Medicopsicologica; vol. 5; n.1; gennaio-marzo 1964; ed. Minerva Medica. Signorato, U.; Bertalot, L.; Delirio persecutorio reattivo a stato abbandonico; in Annali di freniatria e scienze affini; vol. 81; n.4; ottobre-dicembre 1968; ed. Minerva Medica.

Signorato, U.; Coda, G.; Vietti, N.; Definizione e limiti dei concetti di “biopatia” e di “cerebropatia” nel nosografismo di ben noti stati patologici e patoplastici infantili; in Minerva Medicopsicologica; vol. 6; n. 2; aprile-giugno 1965; ed. Minerva Medica.

Signorato, U.; Parascandolo, G.; Anomalie di comportamento di tipo psicotico in bambini con esiti di cerebropatia; in Annali di freniatria e scienze affini; vol. 81; n. 4; ottobre-dicembre 1968; ed. Minerva Medica.

Signorato, U.; Vietti, N.;Criteri per una valutazione prognostica delle sub-normalità infantili; in Minerva Medicopsicologica; vol. 6; n. 2; aprile-giugno 1965; ed. Minerva Medica.

Signorato, U.; Vignolo Lutati, U.; Sul problema dei rapporti tra solitudine forzata (come “sensory deprivation”) e sviluppi dispercettivi nell’età evolutiva; in Annali di freniatria e scienze affini; vol. 79; n. 4; ottobre-dicembre 1966; ed. Minerva Medica.

 

[10] Papuzzi; op. cit.; p. 23.

 

[11] Moraglio; op. cit.; p. 126-127

[12] Moraglio; op. cit.

 

 [13]Papuzzi; op. cit.

[14] Coda, G.; Bertalot, L.; L’ambiente socioterapeutico come fattore di sviluppo psico-affettivo nei bambini sub-normali psichici. Un anno di esperienze a “Villa Azzurra”; in Annali di freniatria e scienze affini; vol. 80; n. 1; gennaio-marzo 1967; ed. Minerva Medica.

 

[15] Coda; Bertalot; op. cit. p. 162.

[16] Bertalot, L.; Parancandolo, G.; Contributo allo studio della malattia epilettica nell’età evolutiva a mezzo del test di Rorschach; in Annali di freniatria e scienze affini; vol.79; n.3; luglio-settembre 1966; ed. Minerva Medica.

Coda; Bertalot; 1967; op. cit.

Levi, L.; Valore diagnostico dello psicodramma; Atti delle giornate psichiatriche e della giornata di psichiatria infantile, Torino 6-7-8-9 giugno 1965; in Annali di freniatria e scienze affini, vol.78, n.3, luglio – settembre 1965; Torino, ed. Minerva Medica.

Signorato; Bertalot; 1968; op. cit.

 

[17] cosa abbastanza normale in quanto un bambino tenuto legato per molto tempo, scarica l’aggressività accumulata che non ha potuto sfogare in alcun modo prima.

[18] Formato dalle maestre ortofreniche, da un’assistente sociale ed un maestro di ginnastica.

 

[19] In quel periodo, con l’arrivo dei carabineri, erano tutti ben disposti!

 

[20] Non tutti in quanto alcuni erano spastici gravi con i quali non si poteva fare nulla se non badare loro.

[21] C’è da ricordare che questi erano i bambini di Villa Azzurra B, quelli considerati “ineducabili”, in quanto i piccoli “educabili” del reparto A erano stati trasferiti altrove. Si veda a tal proposito il paragrafo 4 del secondo capitolo.

ritorno