C a p i t o l o 2 : “VILLA AZZURRA” E LA SUA STORIA
Essendo mia intenzione riportare il punto di vista di chi ha amministrato Villa Azzurra, metto al corrente il lettore che la prima parte di questo capitolo, tratta dai verbali del Consiglio d’Amministrazione, potrà apparire troppo utopistica ed in contrasto con quanto presente nella seconda.
1: Il padiglione medico pedagogico di Grugliasco
Agli inizi del ‘900 a Torino erano presenti l’Ospedale Psichiatrico femminile di via Giulio, quello maschile di
Collegno, il Ricovero Provinciale e altre strutture minori dislocate nella provincia con quasi 2000 persone ricoverate.
L’Ospedale Psichiatrico di Grugliasco fu costruito tra il 1928 ed il 1931, con la partecipazione della provincia di Aosta, priva di ospedali psichiatrici. Pensato e progettato per andare in contro all’affollata situazione torinese era composto, inizialmente, da due padiglioni per un totale di 470 posti letto femminili.
Nel 1933 il progetto fu ampliato in modo da trovare una soluzione al problema dei bambini, sotto i 12 anni, fino allora ricoverati in istituti sparsi nella Provincia.
Furono così aggiunti alla struttura iniziale un
padiglione femminile e, nel 1937, un padiglione medico pedagogico misto per i
ragazzini sino ai 12 anni.[1]
Nel marzo 1938[2] fu proposta una nuova soluzione per i ricoverati bambini: alloggiarli secondo l’età: parte nella sezione femminile di Grugliasco, e parte, i più adulti e educabili, a Collegno nel reparto n. 20. Nel settembre dello stesso anno[3] il Consiglio d’Amministrazione diede il via alla messa in efficienza del camerone superiore del padiglione medico pedagogico di Grugliasco, capace di 40 letti circa, per ospitare le bambine, provvedimento che implicò l’aumento di quattro infermiere; ed in via provvisoria riunì i 20 bambini “ineducabili”[4] dai 6 ai 12 anni, fino allora degenti a Collegno, in uno dei padiglioni di isolamento dell’ospedale stesso.
Nel novembre del 1939[5] il prof. Agosti, allora Medico Direttore di Grugliasco, diede modo a tre bambini ricoverati di frequentare la 4° elementare nelle scuole comunali, in considerazione della loro volenterosa diligenza e attitudine. I piccoli passarono brillantemente l’esame di ammissione alla classe 5° il luglio successivo. Si trattò del primo esperimento del genere tentato in Italia.
L’anno seguente[6], esattamente il 22 e 30 del mese di ottobre, i padiglioni medico pedagogico ed epilettiche furono trasferiti, in numero di 65 bambini e 85 donne, da Grugliasco a Collegno a causa dell’impossibilità di ottenere nafta per il riscaldamento e dell’ingente spesa per la trasformazione delle caldaie da nafta a carbone. La chiusura delle sezioni fu preventivata per il solo inverno del ’40, in realtà, a causa della sopraggiunta situazione bellica, il padiglione medico pedagogico ritornò a Grugliasco circa 20 anni dopo.
2: Il reparto medico pedagogico di Collegno
La vita dei piccoli ricoverati, trasferiti da Grugliasco a Collegno, rimase invariata. I bambini con gravi difficoltà d’apprendimento continuarono a frequentare le scuole interne, mentre quelli “più educabili” continuarono a studiare nelle scuole pubbliche sempre con buoni profitti.
Molte erano le attività che tenevano impegnati i bambini; il 28 dicembre 1941[7], ad esempio, ebbe luogo nel teatrino dell’ospedale di Collegno, con iniziativa della direzione medica locale e della dott.sa Bruno, addetta al reparto, una manifestazione ginnico – recitativa – corale ed un’esposizione e vendita di lavoretti prodotti dai piccoli degenti del reparto. Il ricavato di tali vendite servì per comprare sigarette da mandare ai soldati italiani combattenti in Libia e in Russia.
Molte erano anche le donazioni a favore del reparto, sia in denaro, sia in giocattoli o materiale di cancelleria, sia di indumenti. Vista la situazione bellica in corso, nel febbraio del ’42[8], venne fatto dono, ai piccoli ricoverati, di indumenti occorrenti a completare le divise fasciste di Balilla e Piccole Italiane da parte del fascio di Collegno[9]; il 9 maggio[10] furono distribuite anche le tessere di appartenenza al suddetto partito da parte del Segretario Politico e dalla Fiduciaria del Fascio Femminile di Collegno.
Il 31 ottobre dello stesso anno[11], in seguito al notevole aumento dei piccoli ricoverati nel reparto medico pedagogico, si manifestò la necessità di assegnare al reparto stesso nuovi locali, per alloggiarvi una nuova aula scolastica per la classe preparatoria ed un’aula da disegno. Inoltre il materiale scolastico, provveduto dall’amministrazione provinciale per l’arredamento del padiglione di Grugliasco, all’epoca della sua apertura, consistente in soli 24 banchi scolastici e quattro tavoli da disegno, non fu sufficiente alle maggiori necessità, poiché il padiglione aperto nel 1937 con una trentina di bambini, dei quali solo una metà “educabili”[12], ne contava al momento una settantina, di cui una cinquantina frequentanti le classi elementari e preparatorie. Fu necessario pertanto provvedere urgentemente all’arredamento completo della nuova classe preparatoria, con almeno 12 banchi per bambini dai 5 ai 7 anni, ed al completamento dell’aula di disegno con altri 6 tavoli a piano ribaltabile, come gli altri già esistenti. Si pensò quindi, non avendo la possibilità di ottenere banchi scolastici in ferro come quelli in uso, di costruire l’arredo in legno servendosi dei laboratori completamente attrezzati all’interno dell’ospedale. Infine, si ritenne necessario un pianoforte per l’insegnamento del canto, poiché era noto il suo valore educativo sia dal punto di vista pedagogico, sia dal punto di vista della disciplina collettiva e dell’equilibrio dei movimenti.
Ma, durante la notte tra l'8 e il 9 dicembre[13], un’incursione aerea colpì l’ospedale di Collegno, fino ad allora risparmiato; si rese quindi necessario lo sfollamento di gran parte dei degenti, compresi i piccoli del reparto medico pedagogico i quali, il 3 gennaio 1943[14], furono inviati all’Istituto medico pedagogico di Caldogno (Vicenza); e nel mese di novembre[15], in seguito alla requisizione della Villa da parte delle autorità militari tedesche, i piccoli furono trasferiti all’Istituto medico pedagogico di Thiene ed alcuni di loro riconsegnati alle famiglie.
Rientrati, nell’autunno del 1946[16], i ragazzi che erano stati sfollati presso gli Istituti medico pedagogici di Thiene e Caldogno, non poterono essere riuniti in un reparto organico che nel 1947. Il reparto medico pedagogico si concentrò in due sezioni dell’ospedale di Collegno, le quali, se da un punto di vista edilizio e di rendimento dei locali si prestavano bene per malati adulti, lo erano un po’ meno per i bambini.
Il reparto medico pedagogico così rimesso in attività fu aggregato all’ospedale femminile di Grugliasco in Collegno, ritenendo necessario mantenere il rapporto di interdipendenza che esisteva tra loro già prima della guerra. Esso fu costituito su due distinte sezioni: le sezioni 10 e 18. Nella prima, trovarono posto le bambine sino ai 13 anni (educabili e non) e bambini fra i 3 e i 12 anni parzialmente educabili o ineducabili del tutto; la seconda, fu riservata ai maschietti educabili fra i 12 e i 18 anni.[17]
I diversi servizi assistenziali, terapeutici, educativi, scolastici ed artigianali, indussero qualità specifiche in vista del complesso, non facile e gravoso lavoro che spettava al personale d’assistenza. Si provvedette ad una selezione del personale in modo da non mantenere in servizio quelli che non presentavano le qualità fisiche, morali e psicologiche adatte[18].
L’insegnamento scolastico venne, per il momento affidato
a due suore maestre[19],
le quali, anche se sprovviste di diploma specifico, “lavorarono con eccezionale
buona volontà raggiungendo risultati positivi a tutte le esigenze
dell’insegnamento”[20].
Una di loro si occupò delle cinque classi elementari, e l’altra di quelle
preparatorie, dell’educazione del linguaggio e dei movimenti.
Le attività scolastiche furono completate con l’avviamento artigianale, tramite il quale si cercò di instradare gradualmente i ragazzi educabili verso quei lavori artigianali che sembravano più appropriati “alla loro mentalità”[21] ed alle loro possibilità fisiche. Delle bambine solo tre poterono essere indirizzate verso attività di lavori di cucito e di maglieria, parte delle altre piccole furono abituate ai lavori domestici di riordino e di pulizia della sezione. Tra i maschietti frequentanti i laboratori artigianali ce ne furono cinque che impararono il mestiere del calzolaio, uno quello del falegname, due appresero a fare i gemmai, uno il barbiere, un altro il tessitore, quattro lavorarono nel laboratorio di vimini, tre impararono il mestiere del tipografo e uno quello del sarto[22]. Inoltre nove bambini furono adibiti ai lavori di pulizia e riordino della sezione[23].
Nella sezione 18 iniziò la lavorazione d’opere di paglia di granturco sotto la guida di un’ammalata molto ben specializzata in tale lavorazione. A questo lavoro presero parte tutti i ragazzi che non potevano essere avviati verso più complesse attività artigianali[24].
Alcuni fanciulli, particolarmente dotati, si esercitarono, sotto la guida di una suora maestra, nel disegno e nella pittura decorativa. Inoltre tutti i ragazzi “validi”, nelle ore libere dalla scuola o dalle attività artigianali, si dedicarono, sotto la guida delle infermiere del reparto, alla coltivazione del piccolo appezzamento di terreno annesso alla sezione18[25].
Infine, in occasione delle feste natalizie, venne
organizzata una piccola recita dei bambini ed un’esposizione dei lavori manuali
da loro eseguiti durante l’anno.
Per quanto riguarda i principi educativi, si cercò di stimolare, con ogni cura, la formazione della personalità dei piccoli ricoverati[26]; di sviluppare, fin dove fu possibile, quei fattori che servivano a formare una personalità autonoma, capace di vita libera nel senso sociale, dotata di adeguato senso morale e capacità di eseguire compiti di cui essi fossero riconosciuti direttamente responsabili[27]. Il personale fu perciò propenso a concedere la massima libertà proporzionatamente alle condizioni mentali dei ragazzi ed alle esigenze disciplinari dell’ospedale[28]. Vennero favoriti, a titolo di premio o di incoraggiamento, brevi permessi per trascorrere le festività con la propria famiglia; furono organizzate gite collettive in campagna; venne concesso di andare al cinematografo in compagnia delle infermiere di servizio[29].
L’andamento del reparto, fu alquanto ostacolato dal frequente cambio di personale al fine di disporre di elementi “idonei”[30] non facilmente reperibili; inoltre il funzionamento della sezione 10 risultava turbata dalla promiscua presenza di bambini e bambine, educabili ed ineducabili, rendendo difficile il mantenimento della disciplina collettiva. L’educazione dei “pochi elementi educabili” fu frenata dalla maggiore presenza di soggetti ineducabili, tra cui parecchi piccini di pochi anni, i quali, proprio perché ineducabili ed impacciati nei movimenti, assorbivano quasi interamente il lavoro delle infermiere[31].
Inoltre il continuare ad affidare l’insegnamento a due
sole suore maestre risultò un errore, poiché era materialmente impossibile per
loro seguire con efficacia tutti gli scolari e svolgere i programmi scolastici
in modo utile ed efficace per la preparazione degli alunni a sostenere alla fine
dell’anno gli esami pubblici.
La convivenza dei ragazzi apprendisti con i malati lavoratori adulti, nei laboratori artigianali, fu troppo spesso motivo di inconvenienti sia dal lato educativo (parolacce, piccoli furti…), sia dal lato pratico perché i capi d’arte, salvo pochissime eccezioni, non avevano tempo, o voglia, o capacità di istruire e seguire i piccoli apprendisti[32].
Infine l’obbligatorietà di sottostare alle disposizioni di legge per i nuovi entrati, privò il reparto di molti casi clinicamente e pedagogicamente “interessanti”[33], limitando le possibilità rieducative, questo perché se i familiari non fossero stati costretti a sottostare alle dimostrazioni della “pericolosità dei loro piccini”[34], si sarebbero accostati al reparto con maggiore fiducia, con maggiore frequenza, senza rivolgersi all’ospedale solo come ultima spiaggia, con perdita di tempo prezioso. Quest’inconveniente potrebbe essere rimosso solo il giorno in cui il reparto medico pedagogico diventi vero e proprio “reparto aperto”[35], non inglobato nell’ospedale psichiatrico[36].
Per ovviare, almeno in parte, alle sopra citate mancanze, fu richiesta una nuova unità[37] alla quale sarebbero state affidate diverse mansioni: coadiuvare l’opera delle due maestre, oberate di lavoro, per le due classi preparatorie e le cinque elementari; occuparsi dell’educazione dei ragazzi che, superata la quinta elementare, non avrebbero più frequentato la scuola; curare l’educazione fisica, l’ortofonia e la ginnastica; coadiuvare il medico nello studio psicologico e psicotecnico dei soggetti e nella valutazione della loro capacità intellettuale; raccogliere dati tecnici e statistici sull’attività del reparto e dati anamnestici sui ricoverati e le loro famiglie; infine continuare nel pomeriggio la funzione di sorveglianza educativa esercitata al mattino dal medico. Per questa nuova figura femminile fu proposta la denominazione di “aiutante sanitaria”.
L’ospedale di Grugliasco intanto[38], dopo essere stato sede di un ospedale militare tedesco (’43, ’44); aver ospitato dal ’45 al ’46 la Croce Rossa britannica e dal ’46 al ’49 un campo per alcune migliaia di profughi, ritornò, nel 1950, alla Provincia di Torino che iniziò i lavori di ristrutturazione e restauro.
Si pensò[39],
quindi, alla possibilità di far ritornare il reparto medico pedagogico alla sua
sede originaria, ma non in modo completo, cioè educabili e ineducabili: i
bambini rieducati sarebbero rimasti a Collegno per usufruire ancora
dell’educazione artigianale, poiché, per motivi economici e organizzativi, non
era possibile istituire a Grugliasco laboratori artigianali; facendo tornare a
Grugliasco solamente i piccoli ineducabili. Questo trasferimento però, per cause
tecniche, avvenne solo alcuni anni più tardi.
Si fece, intanto, sempre di più sentire il disagio e il danno dell’ambiente e della legislazione manicomiale, per cui sarebbe stato indispensabile provvedere all’istituzione di un “Reparto aperto medico pedagogico”, onde ottenere un’armonica educazione dei fanciulli ricoverati. Tanto più che di reparti aperti ne esistevano gia a Venezia, Trieste, Siena e Reggio Emilia, mentre erano in costruzione quelli di Novara e Mantova. C’era da augurarsi che presto anche a Torino, l’educazione dei piccoli ammalati, potesse essere fatta in reparto libero dalle disposizioni della Legge sui manicomi[40]
Nell’estate del 1952[41] fu sperimentato l’avviamento al lavoro nei campi di vari soggetti instabili della sezione 18, con buoni risultati. Buoni risultati, per l’applicazione dei ragazzi, diede pure l’allevamento di piccoli animali da cortile; mentre andò sempre diminuendo l’avviamento ai laboratori professionali a causa delle gia note difficoltà di istruire i ragazzi in laboratori per adulti.
Nei giorni 7 e 11 aprile del 1954[42] si tenne a Roma, un congresso di Igiene mentale; ai partecipanti fu fatto visitare l’Ospedale Psichiatrico di Santa Maria della Pietà, che accolse il principio tecnico che il reparto medico pedagogico, annesso all’ospedale, funzioni come reparto completamente aperto, con internato completo e seminternato, senza cioè la necessità che i ragazzi vi siano accolti con le disposizioni di ammissione per gli alienati adulti, com’era ancora in uso sino all’anno precedente. Il prof. Desanctis, direttore di quel servizio, mise in evidenza gli enormi vantaggi derivati da questa più vasta e moderna concezione funzionale di questo speciale reparto, anche se annesso e facente parte integrante dell’Ospedale Psichiatrico.
Questo evidenziò ancora di più la necessità di istituire
una situazione simile anche a Torino.
La direzione medica continuò per molti anni a proporre il trasferimento del reparto medico pedagogico nell’ospedale di Grugliasco, e precisamente nel grande padiglione che fu istituito proprio allo scopo, e che poteva contenere 50 - 60 bambini e ragazzi, con opportune separazioni di sesso e l’apprestamento di idonei locali per scuole, lavorazioni, ecc. Inoltre, la posizione del padiglione avrebbe permesso un facile accesso diretto ed indipendente dall’esterno del recinto dell’ospedale, in modo da farne un reparto aperto a tutti gli effetti.[43]
La difficoltà principale, per tale sistemazione, derivava dal fatto che il padiglione di Grugliasco era occupato da circa 150 malate, in gran parte croniche,che sarebbero dovute essere sistemate altrove. Quindi il problema dello spostamento da Collegno a Grugliasco del reparto medico pedagogico si presentò quantomai complesso anche se assolutamente necessario.
Ecco che, nel maggio 1963[44], avvenne il trasferimento da Collegno a Grugliasco dei bambini del reparto medico pedagogico; ciò permise lo svuotamento del padiglione 10, rimase invece inalterata l’occupazione del 18.
3: “Villa Azzurra”: reparto aperto medico
pedagogico
La Legislazione manicomiale ancora vigente imponeva il ricovero coercitivo, mediante un certificato attestante la pericolosità sociale e la relativa ordinanza dell’Autorità di pubblica sicurezza, anche per i bambini frenastenici, deboli di mente, anomali ecc., che venivano accettati nel reparto medico pedagogico.
Da più parti[45] furono sollevate lamentele contro tale procedura, che in effetti poneva allo stesso livello un grave malato adulto con un piccolo bambino di un anno, che non poteva essere tenuto in famiglia per le sue condizioni mentali.
A tale necessità, imposta dalla Legge del 1904, in vari ospedali psichiatrici, si ovviò istituendo dei reparti medico psicopedagogici a regime aperto, nei quali i piccoli potevano essere accolti senza le procedure previste per i malati di mente.
In qualche ospedale, dove già esisteva un reparto per bambini a regime chiuso, questo fu trasformato in reparto a regime aperto.
Nell’istituto di Grugliasco, nel quale era stato recentemente ripristinato un reparto medico pedagogico, fu in programma un suo ampio potenziamento sul quale la Provincia di Torino faceva da qualche tempo continue pressioni. Pertanto, al fine di ovviare alle estreme severità della Legge sui Manicomi, ed anche per venire in contro alle necessità assistenziali della Provincia, che era costretta ad inviare i piccoli assistiti presso Istituti lontanissimi dal Piemonte, il Reparto medico pedagogico degli OO. PP. di Torino venne, il 7 aprile 1964[46], trasformato in reparto aperto per il ricovero dei minori fino ad anni 14 senza il certificato di pericolosità sociale e gli venne dato il nome di “Villa Azzurra”, con un nuovo accesso del tutto indipendente dai reparti psichiatrici.
Nel luglio dello stesso anno iniziarono i lavori per adattare Villa Azzurra ad Istituto medico-psicopedagogico. Per fare ciò la Direzione Medica e Amministrativa si preoccupò di assumere precise informazioni sull’organizzazione di altri reparti analoghi esistenti in Italia tenendo presenti i dati forniti dagli Ospedali Psichiatrici di Reggio Emilia, Firenze e Roma. Inoltre, al fine di essere meglio documentati in materia, i Direttori visitarono personalmente l’Istituto “Sante de Sanctis”, annesso all’Ospedale Provinciale di Roma, presso il quale si reco anche la prof.ssa Levi, allora Direttrice di Villa Azzurra. Tale istituto aveva una disponibilità di 110 posti letto. Era un reparto aperto per bambini di ambo i sessi recuperabili, cioè scolarizzabili, poiché i non recuperabili erano ospitati in un Reparto chiuso dell’Ospedale Psichiatrico. L’età minima per l’accettazione era di 6 anni e la massima di 10; gli accolti potevano però permanere fino al compimento del dodicesimo anno. Tutti avevano l’obbligo scolastico e la scuola interna era legalmente riconosciuta. Tuttavia il Dirigente dell’Istituto riteneva che sarebbe stato necessario accogliere i bambini fin dai 4 anni provvedendo, per i più piccoli a classi di tipo preparatorio (basate sull’ordinamento delle scuole materne), e di elevare il limite di permanenza sino ai 14 anni. Gli ospitati erano al momento 82. l’istituto era alle dipendenze della Direzione Sanitaria dell’Ospedale Psichiatrico, ed aveva un’organizzazione interna composta da due medici, di cui uno responsabile della direzione dell’istituto; sette maestre ortofreniche; un’assistente sociale; quattro suore maestre giardiniere[47]; un maestro d’arte; ventiquattro puericultrici e un fisioterapista. Il maestro d’arte indirizzava i maschietti ad un’autodisciplina lavorativa, alla osservanza degli orari, avviandoli prevalentemente a piccoli lavori di falegnameria. Le suore maestre d’arte invece si dedicavano alle bambine e facevano eseguire loro lavori femminili di cucito e casalinghi in generale. L’Istituto Sante de Sanctis non escludeva “l’esternato”[48].
In base a quanto sopra esposto, la Direzione organizzò Villa Azzurra nel modo seguente:
il reparto avrebbe accolto, per un totale di 160 posti letto, bambini recuperabili scolarizzabili e piccini non scolarizzabili, senza gravissime anomalie neuropsichiche da renderli “veramente pericolosi”[49]. I piccoli, di ambo i sessi, furono nettamente distinti fra educabili e non educabili. Per ciascuno dei due gruppi, la divisione per sesso venne conservata solo nei dormitori; giochi, soggiorni, scuole ecc. erano comuni ai maschietti e alle femminucce[50].
Fu proposto che l’età di ricovero andasse dai 4 fino ai
12 anni.
Il personale era formato da un Direttore, due medici assistenti, cinque maestre ortofreniche, tre maestre giardiniere, un fisioterapista, un’ortofonista, un maestro di ginnastica, un maestro d’arte, un’assistente sociale, trenta infermiere diplomate[51], un cuoco e un usciere scrivano[52].
Per ragioni organizzative, si ritenne, per ora, del tutto impossibile utilizzare il nuovo reparto per esternato diurno[53].
Nell’anno 1964 il prof. Coda divenne Direttore di Villa Azzurra[54].
Nel febbraio dell’65[55] al reparto di Villa Azzurra A si aggiunse Villa Azzurra B, costituito da piccoli più gravi, sistemati in un padiglione dell’adiacente Ospedale di Grugliasco. Ciò si fece per consentire, da una parte lo sfoltimento del contingente dei minori mentalmente più arretrati, ospiti della sezione A, e, dall’altra, il parziale accoglimento di sempre più numerose e stressanti richieste di ricovero dì bambini con gravi patologie.
Nell’ottobre dello stesso anno[56] iniziarono le pratiche per la parificazione delle scuole, che venne approvato il dicembre successivo. L’Istituto Villa Azzurra poté così provvedere direttamente all’istruzione obbligatoria dei propri assistiti per mezzo di una scuola elementare medico-pedagogica privata[57].
Durante la primavera del ’66[58] si pensò alla possibilità di mandare alcuni bambini in colonie marine, all’uopo il medico Direttore si informò presso il Presidente dell’Opra Diocesana di Mondovì sulla possibilità di ospitare , nella dipendente colonia di Varigotti, 52 bambini (25 maschi e 27 femmine). Si mise in contatto, inoltre con l’Alleanza Cooperativa Torinese per il soggiorno a Laigueglia. Nel luglio dello stesso[59] anno i piccoli andarono a passare le vacanze nella colonia di Laigueglia.
4: Lo scandalo di Villa Azzurra
Nel 1968 scoppia il caso di Alberto B. e di Villa Azzurra per contenzioni e violenze[60].
Alberto era un bambino di 8 anni, collocato dal Centro di tutela minori in un collegio della provincia. Il piccolo durante il gioco inghiottì una biglia, e dal collegio venne portato in ospedale, dove il suo comportamento vivace ed irrequieto, la sua malinconia, frutto di carenze affettive, non furono tollerate. così anziché essere sottoposto ad una visita per analizzare i motivi della sua condotta, fu subito trasferito a Collegno, solo e abbandonato tra i malati di mente adulti e anziani. In quell’ospedale, Alberto, soggiornò per circa due mesi poiché non si trovava l’ente che dovesse pagare la retta del bambino. Di questa situazione non fu informato il Centro tutela, per cui, quando esso ne fu a conoscenza, non poté far altro che ricoverare il piccolo immediatamente a Villa Azzurra. In tale occasione venne consegnato al dott. Coda, allora direttore, un dossier in cui il centro tutela forniva tutte le informazioni riguardanti il bambino in attesa di conoscerne la diagnosi.
Dopo circa cinque mesi di soggiorno, il Centro tutela inviò una propria assistente sociale per visitare il piccolo; ad essa venne riferito che il bambino era ribelle, che la sua condotta era pessima e che sarebbe stato meglio ritirarlo, in caso contrario avrebbero dovuto inviarlo a Collegno o in una casa di rieducazione. Prima però di prendere qualsiasi decisione, il Centro tutela ottenne di poter inviare una propria assistente sociale che lo potesse seguire anche affettivamente. Le visite fecero scoprire la tragica realtà di Villa Azzurra: un bambino vivace, con una intelligenza al di sopra della norma, di cui furono conferma i successi scolastici, fu sottoposto a cure a base di sedativi.
Inoltre, dai racconti del fanciullo si venne a sapere che
ogni forma di protesta poteva essere gravemente punita; così non di rado, come
si faceva coi malati più gravi, il piccolo veniva messo a letto legato ai polsi
e alle caviglie, un castigo a cui fu sottoposto parecchie volte, persino per
quattro giorni di fila. Alberto riferì inoltre che durante la contenzione se ne
stava solo interi giorni, visitato soltanto dal compagno che all’ora di pranzo
gli portava il cibo. Le cinghie, erano lente solo se l’infermiera rinunciava a
fare il suo dovere altrimenti rimaneva pressoché immobilizzato 24 ore su 24. In
ultimo, durante i litigi tra piccoli ricoverati, il dott. Coda incitava i
contendenti a lottare fino a quando uno dei due non fosse sconfitto, cioè non
cadesse a terra pesto e sanguinante.
Il Centro tutela decise di togliere immediatamente Alberto da Villa Azzurra, dopo aver trovato una famiglia alla quale forse sarebbe stato possibile affidarlo. Si chiese alla Direzione di preparare il bambino per poterlo presentare alla famiglia in questione. La risposta fu negativa , non vollero consegnare il bambino perché a letto in castigo. Si chiese l’intervento della psicologa, la quale dichiarò che Alberto necessitava di una “frustrazione” e quindi non era possibile privarlo di questa “indispensabile” cura. Dopo tali dichiarazioni il Centro di tutela ne premette il recupero e finalmente il piccolo uscì da Villa Azzurra.
Il dott. Coda fu condannato per abuso di mezzi di correzione. Mesi dopo, per una denuncia dell’Associazione per la lotta delle malattie mentali, prese corpo il vero e proprio caso Coda che portò alla sua condanna in primo grado nel luglio del 1974.
Verso il mese di gennaio del 1970[61], la Commissione di Tutela per i Diritti dei Ricoverati[62] cominciò ad occuparsi anche di Villa Azzurra, l’occasione fu la segnalazione di una riunione interna, tra il personale di Villa Azzurra e medici e infermieri del reparto 10; l’Associazione partecipò senza essere invitata. La riunione cominciò in modo idillico, con una relazione del prof. Signorato, Direttore, che parlava di carenze a cui porre rimedio, ma si vantava soprattutto dei meriti: i bambini erano andati in gita, boy-scouts andavano periodicamente ad intrattenerli ecc.
Gli interventi più significativi furono del personale che
esprimeva il proprio disagio. L’Associazione dunque colse l’occasione per
sostenere che era necessario interessare anche i genitori, di cui era preciso
diritto e dovere di intervenire, soprattutto in vista di una riorganizzazione
dell’Istituto.
La prima riunione con i genitori, una rappresentazione dell’Associazione Malattie mentali e dell’ANFFAS[63], dirigenti dell’istituto, Direttore dell’O.P. e Presidente dell’Opera Pia avvenne il 1° febbraio 1970. Alcuni parenti lamentarono apertamente le deplorevoli condizioni dei bambini, dissero che ne costatavano il grave peggioramento, mentre era assicurato loro che sarebbero stati curati e ne sarebbe stato tentato il recupero.
Dopo questa prima assemblea le famiglie incominciarono a ricevere lettere dalla direzione che invitava le stesse a riprendere a casa i bambini, anche i più gravi[64].
In un’altra assemblea, svoltasi a marzo, venne denunciato il carattere ricattatorio di tale iniziativa e fu ribadito che, pur restando il ritorno in famiglia la miglior soluzione possibile, non si poteva continuare a ignorare quanto utopica potesse essere questa premessa se le famiglie stesse non venivano messe in condizione di assistere un bambino malato da tutta una serie di strutture ausiliari (centri di rieducazione motoria e del linguaggio, classi speciali, centri di psicoterapia ecc.) efficienti ed accessibili.
Contemporaneamente, per avere una conoscenza diretta, vennero effettuate visite ai due reparti di Villa Azzurra.[65]
Venne costatato che il reparto B, dove erano ricoverati i bambini che presentavano patologie organiche anche gravi, era in condizione pessime. I bambini stavano quasi sempre a letto, legati mani e piedi, fin dalle 16 del pomeriggio. Spesso mangiavano anche a letto; non disponevano di alcun oggetto personale, neanche gli abiti. Non erano state fatte diagnosi differenziali: cerebropatici e probabili psicotici vivevano in un ambiente utile solo ad aggravare le loro condizioni. Legati e inattivi vegetavano nel più assoluto squallore.
Vi erano bambini coperti di mosche. Le infermiere si limitavano a provvedere alla pulizia; la pesante contenzione veniva giustificata sia dal loro scarso numero sia dalla distruttività dei bambini, dal fatto che avrebbero potuto farsi male o far male ai compagni, avrebbero messo in bocca qualunque oggetto e strappato e distrutto qualunque cosa venisse loro a tiro.
Accadeva spesso di sentire le infermiere dire,
riferendosi ai piccoli, che questo non sentiva niente e l’altro non capiva
nulla, affermazioni subito smentite dall’affettuosità dei piccoli, dal fatto che
chiamavano “mamma” e “papà” i membri dell’associazione in visita, e dal modo in
cui stringevano la mano o reclamavano l’attenzione.
Per le infermiere in bambini non avevano storia, il medico non le informava mai sulla situazione clinica o familiare del bambino. L’ascolto e il rapporto con le famiglie era pressoché inesistente.
Secondo i membri dell’associazione non sarebbe bastato aumentare il numero delle persone addette alla cura dei bambini, se non fosse cambiata la percezione dei loro bisogni; se non ci si fosse convinti che non era necessario legarli perché distruttivi, ma al contrario, che tale comportamento era conseguenza della mancanza di cure adeguate e di stimoli affettivi, conoscitivi e sociali, e della violenza fisica cui furono sottoposti con la contenzione usata anche come sostituto della rieducazione motoria.
Il Reparto A[66] era un po’ più confortevole ed ospitava bambini che a volte erano diventati casi psichiatrici mentre all’origine erano solo casi sociali[67].
A Villa Azzurra l’inefficienza riabilitativa e terapeutica era dovuta anche al fatto che il personale non disponeva di una possibilità di formazione in èquipe. Il personale infermieristico inoltre doveva affrontare il problema di un’irrazionale distribuzione dell’orario di lavoro e della mancanza di formazione professionale.
Vista la situazione la Direzione decise che i bambini del
Reparto A dovessero essere sistemati altrove, per far posto a quelli del Reparto
B cui si diceva di voler garantire una migliore assistenza.
In una riunione tenutasi il 21 giugno 1970, a cui parteciparono i genitori e i cittadini, si votò una mozione su due importanti problemi. Il primo, relativo alla dimissione dei bambini del Reparto A, imponeva di contrastare l’improvvisa fretta della Direzione che, dopo tanti anni di letargo, pose un ultimatum “Via entro tre mesi i bambini del Reparto A o nessuna situazione migliorativa per il Reparto B”. Era necessario controllare la destinazione dei bambini del Reparto A, fino a quel momento trattati come oggetti che potevano essere spostati a piacere, per evitare che finissero fuori provincia, che fosse troncato il legame con la famiglia, che non ci fosse più nessuna possibilità di controllarne le condizioni di vita.
Era da tener presente anche un accorgimento che la Direzione di Villa Azzurra aveva escogitato per evitare responsabilità: alcuni tra i bambini più gravi, venivano inviati al “Centro di osservazione neuropsichiatrica dell’età evolutiva” di Piazza Massaua (TO). L’iter era questo: Villa Azzurra li dimetteva, Piazza Massaua li accoglieva temporaneamente e li inviava, con catastrofiche diagnosi di irrecuperabilità all’O.P.
Il secondo problema riguardava la riorganizzazione del reparto B.
Dalle assemblee di Villa Azzurra fu espressa anche un’altra richiesta esplicita all’Amministrazione Provinciale: gli istituti o luoghi di cura in cui sarebbero finiti i minori, e per i quali si sarebbe pagata una retta spesso anche cospicua (8.000 lire giornaliere, ad esempio, per i bambini del reparto A) avrebbero dovuto garantire certi standard terapeutici, educativi ed assistenziali; la Provincia avrebbe dovuto permanentemente controllare che fossero rispettati e una commissione di genitori avrebbe dovuto partecipare a questo controllo.
Per discutere queste richieste vennero invitati tutti i
responsabili (amministratori e tecnici) ad una riunione che si sarebbe tenuta il
1 luglio presso la sede dell’ANFFAS. A questa riunione non si presentò nessuna
delle autorità responsabili invitate. I genitori e l’associazione decisero
pertanto di informare l’opinione pubblica di quanto stava accadendo a Villa
Azzurra, centro Medico Pedagogico dell’Ospedale Psichiatrico di Grugliasco. Nei
giorni successivi fu inviato ad alcuni quotidiani un documento sulla situazione.
Il 26 luglio l’”Espresso” pubblicò[68], corredato da impressionanti fotografie dei bambini legati, un articolo che destò scalpore. In questo articolo veniva descritto ciò che si poteva trovare al reparto B di Villa Azzurra. In uno dei padiglioni c’erano strisce di carta moschicida appese al soffitto nere di mosche. In un lettino vi era una bambina sdraiata su tela cerata marrone. Era nuda, i suoi polsi erano fissati alle due sponde del letto con due cappi di tela; le caviglie erano legate assieme ed anch’esse legate al letto. Quando i visitatori si avvicinarono a lei per accarezzarle il viso, la piccola, contenta, cercò di alzarsi, di prendere la mano, ma non poteva perché la cinghia era tropo corta, riuscì solo a sollevare un pochino la testa. Le mosche le ronzavano intorno posandosi su ogni parte del suo corpicino.
Venne descritto inoltre il parco di Villa Azzurra, bello ma piccolo per i 43 bambini del reparto. I piccoli erano seduti su quattro panche verdi disposte a quadrato, quasi tutti erano legati alla spalliera per il polso sinistro; pochi di loro giocavano liberi, ma ognuno da solo e senza giochi, arrangiandosi con dei sassolini, vecchi giornali strappati e una palla di filo bianco. Erano tutti vestiti uguali con pantaloni corti e camicia blu. Due bambini e una bambina molto piccoli erano richiusi in camice di forza con le braccia incrociate sul petto, dentro maniche abbastanza lunghe per essere legate dietro la schiena. Ad una rete metallica in fondo al cortile c’era un altro bambino legato, fu spiegato che era così per fargli un piacere dato che cercava di infilare la mano tra i buchi della rete. Le infermiere non sapevano né il nome dei piccoli né la patologia di cui erano affetti, chiamavano inoltre i bambini “arnesi”.
I carabinieri aprirono un’inchiesta. I bambini del
reparto A furono frettolosamente dispersi[69]:
alcuni tornarono in famiglia, e la Provincia che spendeva per ciascuno di loro
240.000 lire al mese per tenerli a Villa Azzurra si limitò a elargire alle
famiglie sussidi di non più di 12.000 mensili. Altri piccoli finirono in luoghi
anche peggiori di Villa Azzurra come a Mogliano Veneto e Thiene.
I bambini del reparto B, sulla scia dello scandalo furono trasferiti nei locali del reparto A e, con qualche eccezione, slegati.
Con lo scandalo di Villa Azzurra l’Amministrazione Provinciale gettò le basi dell’operazione del distacco del problema degli handicappati dalla psichiatria: nacque la figura dell’educatore[70].
Venne fatta la proposta[71] di dividere i bambini in gruppi-famiglia di sette, otto unità e la loro giornata sarebbe dovuta essere divisa in tre momenti: il momento della scuola, costituito in buona parte da esercizi fisici; il momento della socialità, durante il quale i piccoli stanno da soli; e quello della famiglia, in cui essi hanno un rapporto più diretto con le educatrici, che aveva la funzione di sostituire idealmente la madre. Si sarebbero curati i rapporti del bambino con la famiglia, perché quest’ultima potesse gradualmente formarsi ad accettare il piccolo almeno durante i giorni festivi.
Vennero licenziate le maestre ortofreniche in quanto non vi era più ragione che rimanessero, tenuto conto del fatto che i minori scolarizzabili erano stati dimessi ed il reparto ormai ospitava solo minori non scolarizzabili o addirittura bambini con gravi patologie. Si ritenne invece di aumentare il numero delle maestre giardiniere.
Il 1° aprile 1971[72] i piccoli ospiti di Villa Azzurra scesero, dagli iniziali 150 a circa 60. Nel maggio dello stesso anno il numero dei piccoli scese ancora di due unità[73].
Nell’Agosto del 72 i bambini presenti a Villa Azzurra erano 36, di cui 11 di età superiore e 25 di età inferiore ai 14 anni[74].
Il 15 novembre dello stesso anno i piccoli di età inferiore ai 14 anni vennero trasferiti all’Istituto Villa Maniero[75], a totale gestione provinciale. A Villa Azzurra invece rimasero 12 minori che avevano superato i 14 anni in attesa di altra soluzione ad iniziativa della Provincia di Torino[76].
L’11 dicembre 1979[77], gli ultimi sette ricoverati vennero trasferiti in un apposito servizio residenziale realizzato dalla Provincia, e finalmente l’Istituto Villa Azzurra presso l’Ospedale Psichiatrico di Grugliasco venne soppresso .
[1] Dormetta D., Ospedale psichiatrico di Grugliasco storia breve, in Psichiatria/informazione, n.2, anno 1987
[2] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 11, 31 marzo 1938
[3] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.19, 26 settembre 1938
[4] Il termine “ineducabile” veniva usato non solo per indicare quei bambini che soffrivano di gravi deficit mentali, ma anche, e specialmente, quei piccoli che avevano un carattere ribelle, e che non sottostavano alle regole imposte dall’istituto
[5] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 39, 31 luglio 1940
[6] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.42, 21 dicembre 1940
[7] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 1, 28 febbraio 1942
[8] Idem
[9] Queste erano le divise usate durante le parate; forse l’unico momento in cui i piccoli potevano uscire dall’ospedale, sentirsi in qualche modo uguali agli altri bambini e quindi accettati.
[10] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 2, 12 giugno 1942
[11] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 4, 31 ottobre 1942
[12] “Educabili”, secondo il pensiero degli addetti al reparto, erano quei bambini che sottostavano, senza ribellione alle regole imposte dall’ospedale
[13] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta straordinaria n. 5, 12 dicembre 1942
[14] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 1, 4 febbraio 1943
[15] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 6, 9 novembre 1943
[16] Agosti F., Relazione statistica sanitaria annuale, ospedali psichiatrici di Torino, 1947
[17] Agosti, F.; op. cit.
[18] Sarebbe interessante capire quali potevano essere queste qualità, visto che, in linea generale, il personale non sembrava possedere qualità e sensibilità particolari nei confronti dei piccoli ricoverati.
[19] Suore della Carità di S. Giovanna Antida del convento do Borgaro Torinese.
[20] Agosti, F; op. cit.; p. 5
[21] Quella che, gli addetti all’istituto, credevano fosse la loro mentalità.
[22] Agosti, F.; op. cit
[23] A molti dei ricoverati degli O.P. veniva imposta, con la scusa dell’ergoterapia, la pulizia e riordino dei reparti. In realtà ciò serviva per evitare l’assunzione di nuovo personale.
[24] Agosti, F.; op. cit.
[25] Agosti, F.; op. cit.
[26] Personalità probabilmente concorde con le norme dell’istituto!
[27] Compito sicuramente non facile, in situazioni di “alienazione” come quelle presenti negli istituti a regime totale come quello preso in considerazione!
[28] Probabilmente la libertà di rimanere buoni senza dare fastidio!
[29] Agosti, F.; op. cit.
[30] Vedi nota n. 17
[31] Agosti, F.; op. cit.
[32] In realtà si trattava di problemi ben più gravi, che non conveniva rendere pubblici: molto spesso i ragazzini venivano sodomizzati dai ricoverati adulti.
[33] Bambini con problematiche particolari utili agli psichiatri per i loro studi.
[34] Secondo la mentalità del tempo, i malati mentali, adulti o bambini, venivano considerati socialmente pericolosi. C’è da chiedersi però che tipo di pericolosità possa scaturire da un bambino di pochi anni!
[35] I Reparti Aperti degli ospedali psichiatrici sono reparti nei quali possono essere ricoverati, senza le formalità imposte per i sospetti alienati, i soggetti affetti da disturbi neuropsichici, nevrosi, lievi turbe psichiche, che senza renderli in alcun modo “pericolosi a se e agli altri”, possono essere curati in breve tempo, in un ambiente non manicomiale. Il ricovero nei detti reparti aperti è del tutto volontario, e non è diverso da quello degli ospedali per malattie comuni.
[36] Agosti, F.; op. cit.
[37] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 24, 3 maggio 1948
[38] Dormetta D., op. cit.
[39] Atti del Consiglio di Amministrazione, seduta ordinaria n. 38, 16 novembre 1949
[40] Art.1, Legge manicomiale n 36, 14 febbraio 1904:
“Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi. Sono compresi sotto questa denominazione, agli effetti della presente legge, tutti gli istituti, comunque denominati, nei quali vengono ricoverati alienati di qualunque genere.”
[41] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 21, 29 febbraio 1952
[42] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 3, 28 aprile 1954
[43] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 4, 7 e 16 novembre 1962
[44] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.3, 21 maggio 1963
[45] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 2, 10 aprile e 5 maggio 1964
[46] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.6, 23 ottobre 1964
[47] Maestre d’asilo e di giardini d’infanzia
[48] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.6, 23 ottobre 1964
[49] Vedi nota n. 27
[50] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.6, 23 ottobre 1964
[51] Non si trattava di un diploma regolare di infermiera, ma di un semplice tirocinio in reparto di circa 15 giorni.
[52] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.6, 23 ottobre 1964
[53] In realtà non era conveniente ricondurli a casa, in quanto sarebbe stato più facile per i genitori accorgersi della situazione in cui vivevano i piccoli all’interno del reparto.
[54] Dormetta D., op. cit.
[55] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria. 1, 15 febbraio 1965
[56] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 5, 7 ottobre 1965
[57] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.8, 20 dicembre 1965
[58] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.2, 3 marzo 1966
[59] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n.6, 28 luglio 1966
[60] AA.VV., Un bimbo sano di mente rinchiuso per sette mesi a “Villa Azzurra”, Unità, 1 maggio 1969
[61] Relazione tenuta alla pubblica assemblea dell’Associazione per la Lotta contro le malattie mentali, 3 giugno 1970
[62] La Commissione di Tutela dei diritti dei ricoverati fu l’unico esempio in Italia di controllo democratico di un’istituzione totale; richiesta in una pubblica assemblea dai degenti dell’OO.PP., dopo lunghe trattative con l’Opera Pia, fu ammessa a svolgere il suo compito. Vi parteciparono giuristi, medici, psicologi, operai, parenti di ricoverati, assistenti sociali, insegnanti, casalinghe (35 membri in tutto). Aveva libero accesso all’Ospedale in qualunque ora del giorno e della sera. Operava a gruppi di 3/4 persone e raccolse parecchio materiale portato poi a conoscenza dell’opinione pubblica e costituente una denuncia delle condizioni di vita e di lavoro dei degenti in O.P.
[63] Associazione Famiglie Fanciulli Subnormali
[64] Relazione dell’Associazione Lotta per le malattie mentali, op. cit.
[65] Idem
[66] Idem
[67] Ambiente familiare inesistente o depresso, incapacità della scuola di offrirsi loro come area di compenso delle frustrazioni sociali e familiari subite, diventando a sua volta strumento di esclusione.
[68] Invernizzi G., Ma è per il suo bene, Espresso n. 30, 26 luglio 1970
[69] Relazione Associazione Lotta per le malattie mentali, op. cit.
[70] Dormetta D., op. cit.
[71] Atti del Consiglio d’Amministrazione, seduta ordinaria n. 9, 12 novembre 1970, aggiornata al 17 novembre 1970
[72] Consiglio d’Amministrazione O. P. di Torino, verbale dell’adunanza 1 aprile 1971
[73] Consiglio d’Amministrazione, verbale dell’adunanza 5 maggio 1971
[74] Consiglio d’Amministrazione, verbale dell’adunanza 6 settembre 1972
[75] In una delle riunioni tra l’Associazione per la Lotta contro le malattie mentali e i genitori dei bambini vennero proposte due tipi di soluzioni per i piccoli rimasti a Villa Azzurra: la prima soluzione prendeva in considerazione l’idea che Villa Azzurra doveva essere deospedalizzata per mezzo di programmi individuali; l’altra soluzione, quella dei genitori, prendeva invece in considerazione l’idea di sistemare i bambini in un’altro luogo, Villa Maniero, dove dovevano essere presenti “buoni” educatori e pedagogisti, e non più i “cattivi” infermieri e psichiatri. Si decise quindi, sotto pressione dei genitori, per una soluzione neo istituzionale che decadde alcuni anni dopo in quanto la provincia si accorse che si stava ripetendo la situazione di Villa Azzurra.
[76] Consiglio d’Amministrazione, verbale dell’adunanza 8 novembre 1972
[77] Consiglio d’Amministrazione, verbale dell’adunanza 28 novembre 1979